Maurizio G.Paoletti e Tiziano Gomiero
Aracne Editrice, 2009
In futuro il biodiesel sostituirà il gasolio nelle nostre automobili? Il consumo di biocombustibili genera realmente un “impatto zero” sulle emissioni di CO2? Perché negli ultimi anni il prezzo del mais è lievitato? È realistico utilizzare il grasso umano ottenuto dalle liposuzioni per produrre combustibile? Le risposte a queste ed altre più articolate domande si possono trovare in questo libro curato da Paoletti e Gomiero, docenti presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova.
E non si tratta di risposte di scontato ottimismo come forse numerosi sostenitori della cosiddetta “energia verde” potrebbero auspicare. Come sempre, la realtà è ben più complessa di quanto può essere riassunto da un semplice slogan.
Il libro è diviso in due parti: la prima affronta la questione metodologica dell’analisi delle relazioni tra energia, ambiente e società, la seconda è dedicata a specifici casi studio.
La scelta agroenergetica è in stretta relazione al problema dell’esaurimento delle scorte di combustibili fossili e alla necessità di ridurre la emissioni di gas che causano l’effetto serra.
Tuttavia, si sostiene nel libro, deve essere chiaro che tale scelta è in grado di produrre importanti ripercussioni di carattere ecologico (erosione del suolo, aumento dell’uso di fertilizzanti e pesticidi e del consumo di acqua, perdita di biodiversità) e socioeconomico (sottrazione di suolo destinato alla produzione agroalimentare, aumento del prezzo degli alimenti). Di conseguenza i curatori insistono sulla necessità di un approccio integrato per la valutazione delle agroenergie, che coinvolga competenze riferibili a varie discipline.
Per questo motivo i primi capitoli sono dedicati ai metodi con cui può essere condotta l’analisi energetica, al confronto tra biocarburanti e carburanti fossili secondo un approccio multicriteriale, all’impatto delle agroenergie su biodiversità e paesaggio. Ne emerge un quadro che ridimensiona in maniera sostanziale il ruolo che le agroenergie potranno avere nel ridurre la dipendenza della società dal petrolio e nel fornire impulso al rilancio del settore agricolo.
I casi studio presentati nella seconda parte precisano questo quadro.
Una citazione, estrapolata dal lavoro di David Pimentel (professore alla Cornell University, USA, un pioniere dell’analisi energetica in agricoltura) sul bilancio energetico della produzione di etanolo e biodiesel negli USA, può rendere l’idea: “Anche espandendo la produzione di etanolo al 100% dell’area agricola coltivata a mais non si raggiungerebbe che il 6% dell’equivalente energetico del petrolio necessario agli USA annualmente”.
In Europa, la Direttiva 2003/30/CE stabilisce che la percentuale dell’energia impiegata nel settore dei trasporti fornita dai biocarburanti avrebbe dovuto raggiungere il 2% entro il 2005 e il 5,75% entro il 2010. Tale obiettivo è stato innalzato al 10% entro il 2020 dall’ultima Strategia Energetica dell’UE (marzo 2007). Nonostante questo scenario, i risultati del caso studio specifico per l’Italia (Ulgiati e collaboratori) dimostrano che i biocarburanti non sono ancora un’alternativa valida, dai punti di vista economico, energetico e ambientale.
L’impressione che rimane alla fine della lettura è che lo sviluppo su scala planetaria delle agroenergie debba essere visto con preoccupazione e pertanto necessiti di accurate analisi multidisciplinari che esaminino le complesse implicazioni che esso potrà avere su società e ambiente. Queste energie alternative possono mostrarsi scelte vantaggiose per piccole realtà, che tuttavia non avranno mai un ruolo apprezzabile su scala globale. In ultima analisi, se vogliamo evitare in futuro di dover scegliere se mettere i cereali nel piatto oppure nel motore, dobbiamo cominciare a mettere in discussione anche il nostro modello di sviluppo.
Pietro Genoni